Il nome della rosa

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IL NOME DELLA ROSA

Opera in due atti
Libretto di Francesco Filidei e Stefano Busellato con la collaborazione di Hannah Dübgen e Carlo Pernigotti, libero adattamento dal romanzo omonimo di Umberto Eco
Musica di Francesco Filidei
Prima rappresentazione Milano, Teatro alla Scala, 27 aprile 2025

 

 

Trama

 

Prologo

L'anziano Adso da Melk scrive un resoconto relativo ai fatti accaduti quando, ancora novizio, si era recato col suo maestro Guglielmo da Baskerville presso l'abbazia benedettina presieduta da Abbone da Fossanova per mediare un incontro tra gli uomini di Ludovico il Bavaro e la delegazione papale.

 

Atto I

Adso e Guglielmo giungono all'abbazia. Il novizio è affascinato dal portale della chiesa, raffigurante il Giudizio Universale; mentre i due contemplano l'immagine, vengono raggiunti da un monaco deforme di nome Salvatore che parla una strana lingua e grida di continuo "Penitenziagite!"; Guglielmo si insospettisce, poiché questa è un'espressione tipica dei dolciniani, un gruppo eretico. Abbone accoglie i due ospiti e chiede a Guglielmo di aiutarlo a risolvere il caso di Adelmo, un confratello ritrovato in fondo a un burrone; durante l'indagine potranno aggirarsi per l'intera abbazia, a eccezione della rinomata biblioteca, una delle più complete mai esistite.

 

Nello scriptorium dell'abbazia i due incontrano il bibliotecario Malachia, il suo assistente Berengario da Arundel, il severo monaco cieco Jorge di Burgos e il traduttore Venanzio. Mentre Jorge critica la frivolezza di Adelmo, Venanzio loda l'importanza della risata, a cui lo stesso Aristotele ha dedicato il secondo libro nella sua Poetica; poiché tale libro è andato perduto, Guglielmo sospetta che una copia sopravvissuta possa essere conservata nella biblioteca. Nella notte, Salvatore fa entrare di nascosto nell'abbazia una fanciulla del villaggio, che si offre a Remigio in cambio di cibo; l'incontro è interrotto dall'arrivo di Venanzio, in preda al deliquio; prima che egli cada morto, Berengario gli sottrae un misterioso libro.

 

Il giorno dopo, mentre Adso è assorto in preghiera davanti a una statua della Vergine, si diffonde la notizia che il corpo di Venanzio è stato trovano in un barile pieno di sangue di maiale. I monaci, terrorizzati, vedono negli omicidi l'avvento dell'Anticristo; Guglielmo nota invece che le dita dei morti sono sporche d'inchiostro, e si rivolge all'erborista Severino per identificarne la provenienza. Sospettando che la biblioteca abbia un ruolo nelle morti dei monaci, Guglielmo decide di introdurvisi nottetempo insieme ad Adso: al suo interno si trova anche Berengario, il quale fugge con il libro sottratto a Venanzio, lasciando cadere un frammento di pergamena con su scritto Secretum Finis Africae. Guglielmo e Adso rimangono intrappolati nella labirintica biblioteca, fino a che non si trovano davanti a uno specchio che fa da porta al Finis Africae; non riuscendo a risolvere l'enigma che lo sblocca, sono costretti a tornare indietro, trovando con molta difficoltà la via d'uscita.

 

Il giorno dopo Berengario viene ritrovato annegato: Guglielmo nota che anche sulle sue dita è presente dell'inchiostro. Le indagini sono interrotte dall'arrivo della delegazione papale guidata dall'inquisitore Bernardo Gui; nel frattempo Adso torna in biblioteca per scoprire di più su Fra Dolcino, rimanendo turbato dalla sua tragica storia. Uscito, il giovane incontra la fanciulla del villaggio che si era intrufolata in cucina e, rimastone ammaliato, consuma con lei un rapporto sessuale.

 

Atto II

Adso si risveglia il mattino dopo, e scopre che la donna è scomparsa. Turbato, il novizio confessa a Guglielmo la trasgressione, ma il maestro si dimostra comprensivo. Poco dopo, tuttavia, la fanciulla e Salvatore vengono catturati e accusati di stregoneria da Bernardo Gui, causando il dolore di Adso.

 

L'incontro tra i bavaresi e i delegati papali ha finalmente luogo, ma presto si scatena una rissa sul tema della povertà di Cristo; nel bel mezzo del litigio Severino chiede a Guglielmo di correre nello scriptorium, dove avrebbe trovato uno strano libro; prima che il francescano possa intervenire, tuttavia, l'erborista viene ucciso da Malachia, che trafuga il volume. Remigio tenta di sottrarglielo, ma Malachia, con uno stratagemma, lo fa cogliere in flagrante dagli inquisitori: Bernardo Gui svela a tutti il passato da dolciniano di Remigio, confessato da Salvatore, spingendolo con l'inganno a dichiararsi colpevole non solo di eresia, ma anche di tutti gli omicidi. Remigio confessa, e Bernardo lo fa condannare al rogo.

 

Il giorno dopo i monaci si riuniscono per la messa, ormai sicuri che l'assassino sia stato catturato; irrompe però Malachia, che muore in preda al dolore causatogli da un terribile veleno. Abbone scaccia Guglielmo, accusandolo di aver fallito la sua missione; deciso di risolvere il mistero prima della sua partenza, Guglielmo torna nella biblioteca e, grazie a un'intuizione di Adso, riesce a entrare nel Finis Africae. I due incontrano Jorge, che ha intrappolato Abbone in un passaggio segreto per farlo morire asfissiato: il vecchio monaco ammette di aver ucciso i confratelli per evitare che il secondo libro della Poetica di Aristotele, incentrato sull'importanza della risata e della commedia, venisse ritrovato, poiché ritiene che la pubblicazione dell'opera incoraggerebbe i lettori a peccare, distraendoli dalla paura dell'inferno. Il monaco ha quindi avvelenato le pagine del libro, causando la morte di chiunque lo abbia toccato. Messo alle strette da Guglielmo, Jorge strappa le pagine del libro e le divora, avvelenandosi; intanto la sua lanterna cade a terra e causa un incendio che distruggerà l'intera abbazia. Solo Guglielmo e Adso riusciranno a sopravvivere.

 

L'anziano Adso racconta che, in seguito a questo evento, fu separato da Guglielmo e non lo rivide mai più. Da vecchio, il discepolo sarebbe poi tornato alle rovine dell'abbazia, trovando intatta solo la statua della Vergine; questo lo spinge a ripensare alla misteriosa fanciulla, l'unica donna che abbia mai amato, della quale non potrà mai sapere il nome.

Programma e cast

Direttore: Tito Ceccherini
Regia: Damiano Michieletto
Scene: Paolo Fantin
Costumi: Carla Teti
Coreografie: Erika Rombaldoni
Drammaturgia: Mattia Palma
Luci: Fabio Barettin

 

Personaggi e interpreti principali:
Adso da Melk: Anna Goryachova
Guglielmo da Baskerville: Lucas Meachem
La Ragazza del Villaggio / Statua della Vergine: Katrina Galka
Jorge da Burgos: Luca Tittoto
Bernardo Gui: Daniela Barcellona
Abbone da Fossanova: Fabrizio Beggi
Salvatore: Fabio Maria Capitanucci
Remigio da Varagine: Giorgio Berrugi
Malachia: Owen Willetts
Severino da Sant’Emmerano: Giulio Pelligra
Berengario da Arundel / Adelmo da Otranto: Filippo Mineccia
Venanzio / Alborea: Leonardo Cortellazzi
Un cuciniere / Girolamo Vescovo di Caffa: Andrea Porta

 

Orchestra, Coro, Coro di Voci Bianche e Tecnici dell’Opera Carlo Felice di Genova
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Maestro del Coro di voci bianche Gino Tanasini
Allestimento in coproduzione tra Fondazione Teatro alla Scala, Opéra National de Paris e Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova

 

Il programma potrebbe subire variazioni, si consiglia di fare sempre riferimento alle comunicazioni ufficiali diffuse dall'Organizzatore

Teatro Carlo Felice

  Costruito sull'area dell'antico Carlo Felice, il nuovo teatro, costruito da Aldo Rossi, recupera un'idea già presente nei progetti di Paolo Chessa e di Carlo Scarpa: la creazione di una piazza coperta di 400 mq di superficie, dove il teatro fosse il collegamento ideale tra Galleria Mazzini e piazza De Ferrari. 
Distanti invece da un punto di vista architettonico sono la stessa Galleria Mazzini e il teatro.
La piazza è un foyer all'aperto; le pareti sono rivestite con lastre di pietra e sono arricchite da colonne e travature in metallo.


Sono due le esigenze che gli architetti hanno voluto tenere presenti nella realizzazione del nuovo teatro Carlo Felice: anzitutto la necessità di ricostruirlo esattamente dov'era e in secondo luogo il voler dotare la nuova struttura della più avanzata tecnologia. Da quest'ultima necessità nasce l'imponente torre scenica alta circa 63 metri.
In pratica del vecchio teatro opera del Barabino rimangono le colonne, il pronao, l'iscrizione latina e il terrazzo che si affaccia su via XXV Aprile al quale si accede da uno dei foyer; la struttura odierna è molto compatta e geometrica, la torre scenica è un parallelepipedo sviluppato in altezza molto lineare, adornato soltanto da un cornicione. La platea, i foyer e i servizi per il pubblico sono contenuti in un parallelepipedo più piccolo, sul quale hanno rilievo il pronao e il portico.
Quanto alla costruzione del nuovo teatro sono stati usati per gli esterni la pietra, l'intonaco e il ferro, per gli interni il marmo e il legno. Si tratta di materiale duraturo che suggerisce un'immagine di eternità, di sicurezza e sopravvivenza dell'edificio nel tempo.


Dalla piazza coperta, scendendo una scalinata, si entra in una sala capace di circa 200 posti. Fornita di un piccolo palcoscenico e indipendente dal resto del teatro, la sala ospita convegni, conferenze e incontri musicali.



L'interno
Dall'ingresso del teatro un'ampia scala porta ai guardaroba e, salendo ancora, al primo foyer che ha una superficie di 660 mq ed è arricchito da affreschi e arazzi. 


Il lanternino
Un elemento caratteristico del nuovo Carlo Felice è la lanterna visibile nel foyer sovrastante l'ingresso; si tratta di una sorta un cono luminoso che percorre l'edificio in tutta la sua altezza e ne attraversa tutti i piani, portando la luce dal tetto alla piazza coperta.


  La torre
   Assolutamente unico è lo scenario nel quale operano le unità tecniche; proprio nella torre scenica, che ospita la macchina per muovere gli spettacoli, si fondono in un delicato equilibrio lavoro umano e ingranaggi sofisticati. Il teatro infatti è dotato di quattro palcoscenici, un palco principale, un palco dorsale alle spalle del primo e due palchi inferiori allineati tra loro e gestiti da impianti elettronici integrati e computerizzati.
Questi impianti di movimentazione scenica, le luci computerizzate, le sofisticate cabine di regia per le riprese e un'acustica fra le migliori in Italia sono tra le caratteristiche che rendono il Carlo Felice una fabbrica di emozioni tra le più importanti in Italia.
 

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